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02.10.2010
I Rischi della Riduzione del Danno
Di Dalcortivo Claudio

la riduzione del danno corre il rischio di perdere la sua impronta fortemente pragmatica e ancorata a criteri di microutilità sociale

Ideologizzazione: la riduzione del danno corre il rischio di perdere la sua impronta fortemente pragmatica e ancorata a criteri di microutilità sociale, per irrigidirsi in un dibattito ideologico.
La riduzione del danno non intende presentarsi come risolutrice di situazioni là dove altri interventi hanno fallito e non si pone come una mono-risposta al problema della tossicodipendenza. E’ piuttosto una politica, una strategia d’interventi che si affianca agli altri più consueti, e che non è né progressista né conservatrice.
Prevalenza di un Controllo Sociale: se l’attenzione è maggiormente rivolta al controllo sociale o alla spesa pubblica e sanitaria, la politica di riduzione del danno può tramutarsi in un’altra forma di ghettizzazione dei tossicodipendenti a tutela del resto della popolazione.
Standardizzazione degli Interventi: la centralità della persona è essenziale per qualsiasi intervento nell’ambito delle tossicodipendenze. Soprattutto là dove si adottano strumenti farmacologici (ma non solo), pensare di bypassare le persone lavorando sulle categorie (tossici storici, i cronici, in AIDS ecc.) accomunandoli in interventi standard pre-definiti non può essere utile per rispondere alle diverse e molteplici domande di intervento.
Minori opportunità per i meno attrezzati: coloro che sono meno attrezzati culturalmente e che dispongono di minori risorse possono diventare gli oggetti privilegiati di una politica di controllo sociale, anziché i soggetti della propria promozione personale. Invece di essere supportati e accompagnati in un percorso che gradualmente li ponga come protagonisti del proprio processo di affrancamento, possono essere schiacciati e abbandonati in interventi che si configurano sempre meno di transizione e sempre più di contenimento sociale.
Assistenzialismo invalidante e accanimento
Riabilitativo: si corre il rischio di fare puro assistenzialismo, troppo appoggiato sulle difficoltà evidenziate dal soggetto. Inoltre si può legare l’intervento di riduzione del danno a quello riabilitativo, con la conseguenza di innescare una logica premio-punizione che finisce per essere penalizzante per quella maggioranza di persone tossicodipendenti che non si attiva a sufficienza per raggiungere traguardi presenti più nei desideri degli operatori che nei loro vissuti.
Difficoltà dell’operatore: che lavora con i tossicodipendenti si trova di fronte a una nuova collocazione
del proprio lavoro, alla necessità di rivedere le proprie motivazioni, di verificare, di fronte ai nuovi compiti, le proprie scelte. “Con l’innesto dell’HIV e dell’AIDS l’operatore ha dovuto fronteggiare il lutto di una speranza, modificare il registro dei propri interventi guidati dall’idea del grande cambiamento, del recupero totale. L’AIDS ha gettato un’ombra pesante sui percorsi riabilitativi di molte persone tossicodipendenti”
L’operatore, in molte situazioni, ha dovuto rinunciare anch’egli alla gratificazione dei risultati del proprio lavoro, al rispecchiamento nel successo della persona con cui si è spesa, alla dimensione alta e profonda, simbolica ma anche reale, di liberazione dalla schiavitù, di levatore di un nuovo futuro.
La ferita provocata all’operatore dalle necessità della riduzione del danno riguarda il proprio guaritore interno, la parte più profonda di sé che lo ha motivato alla scelta di professione d’aiuto. E’ la propria immagine di sé, il proprio io professionale a essere messo in crisi nelle sue sicurezze e identificazioni. Di qui la confusione, il non ritrovarsi di molti operatori. Sintonizzare la propria professione e la propria persona sui nuovi obiettivi costituisce un passaggio centrale. La contraddizione tra curare e prendersi cura di chi non vuole farsi curare, nel rispetto delle scelte altrui, deve essere risolta come precondizione per il fare dell’operatore.
Le difficoltà dei servizi: Come l’operatore deve sapersi muovere tra attese pazienti e interventi di urgenza, tra grosse fatiche che portano a piccoli risultati e improvvise aperture con semplici azioni ben collocate, i servizi devono poter produrre al loro interno una capacità di percorrere gli interventi più diversificati senza soluzione di continuità. E’ un servizio dotato allora di tutti gli strumenti e che si definisce non sull’erogazione privilegiata di questa o quella prestazione, ma sulla capacità selettiva di proporre quell’intervento per quella situazione in quel momento.
I Fallimenti: Circa il 50% delle persone che accedono alle comunità non termina il percorso, allontanandosi per diversi motivi e a diversa distanza di tempo dalla data di ingresso. Non per tutti costoro è lecito parlare di fallimento. Nei fatti c’è stato un utilizzo breve di programma a lunga scadenza. Tale periodo di permanenza ha funzionato da tregua, ha risposto alle esigenze di tirare il fiato, riprendersi sul piano psicofisico, ristabilire alcuni rapporti affettivi e sociali. Dopo l’uscita, non necessariamente la ricaduta è automatica e a breve distanza di tempo. D’altra parte anche per coloro che terminano il programma nessuna comunità è in grado di rilasciare un certificato di garanzia che premunisca rispetto alla recidiva. La storia dell’uso della comunità, che è stato fatto da più della metà delle persone tossicodipendenti dall’inizio degli anni ’80 ad oggi, evidenzia che, nei fatti, si è realizzato un progetto implicito di riduzione del danno, senza che gli utenti e gli erogatori del servizio ne avessero una chiara consapevolezza. Le comunità non devono avere paura dei loro fallimenti, devono essere anche consapevoli che non rischiano una diminuzione di ruolo di fronte alle strategie di riduzione del danno. Se si rendono pienamente conto degli usi alternativi che l’utenza di fatto attua rispetto ai programmi residenziali, se hanno coraggio di consentire dignità anche a programmi più brevi, che non si pongono obbiettivi ambiziosi e irrealistici di superamento duraturo della dipendenza, ma di utile distacco dall’uso delle sostanze per evitare tutta una serie di rischi medici, legali e sociali, allora potranno predisporre programmi più differenziati, che dalla consapevolezza della diversificazione dell’utenza approdino alla coscienza dell’utilità della diversificazione degli obbiettivi.

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