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29.08.2010
John Barleycon
di Jack London
la storia dell'autore con John Barleycon(l'alcol).
Avevo cinque anni la prima volta che mi ubriacai. Era una giornata calda, e mio padre arava nel campo. Mi avevano mandato da casa – un mezzo miglio – a portargli un secchio di birra. «E stai attento a non versarlo», fu l'ordine al mio partire.
Era, me lo rammento, un secchio da strutto, di bordo molto largo e senza coperchio. Al mio andare, la birra traboccava e mi bagnava le gambe. Camminando, riflettevo. La birra era una cosa molto preziosa. A ripensarci doveva essere meravigliosamente buona. Altrimenti, perché mi avrebbero sempre proibito di berla, in casa? Altre cose che i grandi mi vietavano erano poi parse buone. Dunque anche la birra era buona. Fidati dei grandi. Quelli sanno. In ogni modo, il secchio era troppo colmo, io me lo sbattevo sulle gambe e la versavo per terra. Perché sprecarla? E nessuno avrebbe mai saputo se l'avevo bevuta o versata.
Ero così piccolo che per maneggiare il secchio, mi misi a sedere e me lo tirai in grembo. Dapprima sorseggiai la spuma. Rimasi deluso. Non pareva poi tanto preziosa. Evidentemente la preziosità non stava nella spuma. E il gusto non era poi troppo buono. Poi ricordai che i grandi, prima di bere, spazzavano via la spuma. Ci tuffai la faccia e succhiai il liquido compatto, sottostante. Non era affatto buona. Eppure bevvi ancora. I grandi sapevano il fatto loro. Considerata la mia poca mole e la grandezza del secchio che mi tenevo in grembo, e il fatto che bevevo trattenendo il fiato con la faccia sepolta fino alle orecchie nella spuma, era piuttosto difficile valutare quanta ne bevessi. Non solo, la mandavo giù come se fosse medicina, con una fretta nauseata di por termine a quella dura prova.
Ebbi un brivido quando ripresi il cammino, e intanto pensavo che il sapore buono sarebbe venuto dopo. Provai diverse altre volte, durante quel lungo mezzo miglio. Poi sbalordito dalla quantità di birra che mancava, e rammentando che si poteva far schiumare daccapo la birra rafferma, presi uno stecco e l'agitai fino a che la schiuma arrivò all'orlo.
E mio padre non si accorse di nulla. Vuotò il secchio con la vasta sete dell'aratore accaldato, mi rese il secchio e ricominciò ad arare. Io faticavo a camminare accanto ai cavalli. Rammento d'aver inciampato nei loro zoccoli, e che mio padre tirò le briglie con tanta forza che per poco i cavalli non mi caddero addosso. Mi disse che era solo per una faccenda di centimetri se non ci avevo rimesso le budella. Ricordo anche, vagamente, che mio padre mi portò in braccio fino agli alberi, sul ciglio del prato, mentre tutto il mondo mi ruotava attorno, e io avvertivo una nausea mortale, che s'accompagnava a una tremenda ammissione di peccato.
Dormii tutto il pomeriggio sotto gli alberi, e quando mio padre mi svegliò al tramonto, fu un ragazzino davvero malridotto quello che si alzò e stancamente si trascinò fino a casa. Ero esausto, oppresso dal peso delle mie membra, e avevo nello stomaco come una vibrazione d'arpa che mi arrivava alla gola e al cervello. La mia era la condizione di chi ha combattuto con il veleno. E in verità, ero rimasto avvelenato.
Nelle settimane e nei mesi che seguirono mi tenni lontano dalla birra come mi tenevo lontano dalla stufa dopo che mi ci ero scottato. I grandi avevano ragione. La birra non era roba da bambini. I grandi se la potevano permettere, allo stesso modo in cui si potevano permettere di prendere le pillole e l'olio di ricino. In quanto a me, potevo cavarmela benissimo anche senza la birra. Sì, e fino al giorno della mia morte avrei potuto cavarmela, senza. Ma le circostanze decisero altrimenti. A ogni mia svolta del mondo in cui vivevo c'era John Barleycorn, che ammiccava. Non c'era verso di sfuggirgli. Tutte le strade portavano da lui. E ci vollero vent'anni di contatto, di reciproche cortesie, di segreti accenni, a far sorgere in me una abietta simpatia per questo manigoldo
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