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05.08.2010
Desiderio insaziabile e droga.
A cura di Mattioni Maurizio
un buco nero in cui il godimento diviene inseparabile dalla pena più acuta
La tossicomania, realizza,un modello concreto, di teoria del desiderio, facendo della mancanza "un buco nero in cui il godimento diviene inseparabile dalla pena più acuta". Una teoria la cui origine è rintracciabile agli albori del pensiero filosofico occidentale e precisamente in Platone, che fu il primo a collegare piacere negativo e desiderio insaziabile.
Significative al riguardo le analogie evidenziabili al livello del linguaggio: la stessa serie di metafore ricorre nelle platoniche descrizioni dell'anima e nelle narrazioni dei junkies. L'anima è una giara sfondata, un vaso infranto che, come il corpo di un drogato, si svuota mentre si versa il liquido. Il tossico è, in gergo, défoncé, sfondato, o, come diremmo in italiano, sballato.
Il desiderio di essere riempiti, colmati fino all'orlo è destinato a rimare frustrato, inesaudito, perché il piacere è negativo (in quanto si dà come interruzione di un dolore), e negativo due volte: in quanto cessazione di una condizione fisica e contemporaneamente sedativo del "male di vivere", che così difficilmente ci abbandona. Precisamente di ciò parla il Burroughs de La scimmia: "Ho provato quella straziante privazione che è il desiderio della droga e la gioia del sollievo quando le cellule assetate di droga la bevono dall'ago. Forse ogni piacere è sollievo".
La temporalità è questione fondamentale nei raconti dei tossicomani, perché in tutta evidenza l'uso di droghe rappresenta anche un tentativo di rapportarsi al tempo (non a caso: secondo Simone Weil il tempo è addirittura la preoccupazione degli esseri umani più profonda e tragica). La droga, direbbe Burroughs, non è un'euforia, ma un modo di vivere: "L'intossicato misura il tempo con la droga". Il consumo impone i propri tempi: a una data quantità di sostanza si associa una certa quantità di tempo, a scansioni regolari anche se sempre più ravvicinate.
Fino a divenire, come si dice in Trainspotting, un full time job, un lavoro a tempo pieno. Il tentativo di dominare attraverso questa misura il tempo, dunque, è destinato a rovesciarsi nella più evidente schiavitù, fino a che "i giorni scivolano via infilati a una siringa con un lungo filo di sangue" (Burroughs).Ma nell'esperienza tossica anche un altro tentativo è votato al fallimento: la ricerca d'indipendenza dal mondo esterno - felice, al riguardo, la definizione freudiana della droga come Sorgenbrecher, scacciapensieri - naufraga contro lo scoglio dell'assuefazione che riduce la vita a un'unica estenuante preoccupazione.
Il significativo paradosso messo in luce dalle narrazioni dei tossicomani è che alla droga si arriva sempre "per caso", più guidati da un vuoto di desiderio che da un desiderio positivo (ancora Burroughs: "la droga trionfa per difetto"). Non è insomma un appetito che spinge, ma il bisogno di crearsene uno (che poi sarà insaziabile) - il che dice molto su come si tengano stretti ricerca di senso e desiderio, sempre che si sia disposti a concedere a un tale ordine di esperienze il carattere di un tentativo, per quanto disastroso, di "salvarsi la vita". Non è questa la strada dell'appettito del desiderio "normale", non nevrotico, che riesce a venire a patti col principio di realtà. La salvezza sta nella capacità di posticipare, rinviare la soddisfazione del desiderio fino a quando sarà possibile esaudirlo. E' questa la via che sembra l'unica percorribile, "il solo modo onesto di trattare con il desiderio", perché non ogni desiderio funziona come una tossicomania, ossia non è sempre insaziabile. E per condurre questa trattativa è necessario "schierarsi dalla parte delle cose", ossia confidare nella loro capacità di soddisfarci offrendoci un godimento positivo, e non semplicemente fornendoci rimedi a una mancanza.
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