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03.08.2010
Una giornata di meditazione in comunità
Kairos di famiglia nuova

Alcune riflessioni di Matteo Zanella
Sulla Condivisione della pratica

E' vero, ogni parola ha un significato per ogni persona che la usa, come ha detto Remigio.

Per me sarebbe stato più dialettico rivolgermi così:

Caro Stefano, cosa intendi con "mi piacerebbe sapere quale è la vostra opinione a proposito dell' abbandonare il desiderio?
Vuoi dire "quale è la vostra comprensione di questo insegnamento? quale è la vostra esperienza al riguardo?"

E poi dire quello che ho più o meno detto: Nel Dharma si è invitati a guardare in profondità nella natura delle cose per comprendere la loro natura e a lasciare andare le opinioni, cioè le nostre idee e immagini che ci facciamo sulle cose; tutte le nostre opinioni, cioè idee e immagini che ci facciamo, sono comunque errate. Nella pratica che stiamo facendo, cioè la Condivisione del Dharma, la Condivisione della pratica, siamo invitati a non esprimere opinioni sulle cose, ma a esprimere la nostra comprensione e esperienza.

***

Sul cosiddetto "distacco"

Caro Stefano, caro sangha,

desiderei ora ritornare sull'insegnamento che abbiamo letto giovedì La via del non-conflitto (anno 1990).
Ho riletto in questi giorni dopo due settimane questo capitolo: le pagine non contengono la parola "distacco" e la traduzione del capitolo è fedele all'originale (anno 2006, una nuova edizione)
Non ho mai sentito Thay usare la parola "distacco" ("detachement" in inglese ha identico significato: ho guardato sul mio dizionario in lingua) ma forse l'ho letta una volta e forse proprio nel libro in italiano che stiamo studiando.

Ecco alcune frasi:

Il nostro atteggiamento nei confronti dei cinque aggregati (cioè corpo, percezioni, sensazioni, fomazioni mentali, coscienza) non deve essere nè di attaccamento nè di avversione (We should not have an attitude of attachment or aversion to the Five Aggregates).

(...)

(...), accettiamo corpo e sensazioni, ma questo non significa nutrire per essi un desiderio morboso

(((craving nell'originale, che significa esattamente bramosia: parola talmente caduta in disuso che due anni fa a Scanzorosciate la traduttrice di un Ghesce si è sentita chiedere dall'uditorio durante la sua traduzione: bramosia? cosa vuol dire? la traduttrice rispose amorevolmente e femminilmente senza farsi cadere le braccia, le sue braccia di Avalokitesvara, la bodhisattava dell'Ascolto profondo: bramosia è desiderio smodato.
E' curioso, anche, che nella Medicina delle tossicodipendenze si usi la parola inglese craving dimenticandoci che esiste la parola italiana bramosia e che forse ancora qualche bambino/a ascolta il nutrimento della favola in cui una regina recita: Specchio, specchio delle mie brame / chi è la più bella del Reame? Credo che abbiamo perso l'insegnamento cristiano sulla bramosia!)))

(...)
Allorchè accettiamo corpo e sensazioni, li trattiamo in modo affettuoso e non violento.

Caro Stefano,
la parola "distacco" è fuorviante nella pratica.

A me non interessa che sia impiegata in enciclopedie o testi di religioni comparate che riferiscono che il Buddha avrebbe insegnato il distacco dalle cose materiali per trasformare la sofferenza e nemmeno che gli amici che criticano il dharma, cioè il buddhismo, riferiscano le stesse cose e aggiungano -anche giustamente!- che nel "buddhismo" ci si ripiega in sé e si sfugge dalla sofferenza (amico Parroco di Trescore durante un' Omelia l'anno scorso) o si è portati a guardarsi un po' l'ombelico (parole, queste ultime, scritte qualche anno fa da un amico Vescovo, uno dei Vescovi italiani più rappresentativi, su Famiglia cristiana).

Non usare la parola "distacco" è importante per la pratica.
Quando viviamo nel mondo quotidiano (che cerchiamo, nella tradizione buddhista, di vivere di tanto in tanto in atteggiamento meditativo, cioè stando nel momento presente, calandoci nelle cose che stiamo vivendo, che stiamo facendo; pratica non formale) e quando facciamo la pratica formale (meditazione statica seduta/rilassamento, Toccare la Terra, meditazione del pasto, meditazione camminata, meditazione in movimento come yoga e qi gong praticati come a Plum Village) cerchiamo di non avere attaccamento e avversione a noi stessi e alle cose che entrano nel nostro campo di coscienza (Cinque aggregati)...il nostro atteggiamento nei confronti dei cinque aggregati non deve essere (should not) nè di attaccamento nè di avversione.

Quando, momento per momento, ci attacchiamo a noi stessi e alle cose, lasciamo andare le cose a cui ci siamo attaccati per scoprire la vera natura delle cose, la nostra vera natura di Buddha ("lasciare andare", "guardare senza giudicare", "equanimità" sono le parole più usate per descrivere lo Stato mentale di Upeksha-Equanimità, uno dei Quattro stati mentali incommensurabili, Quattro ingredienti del vero amore).

Nessun distacco!
Nutriamo uno stato mentale di non attaccamento e non avversione, nutriamo uno stato mentale di amore, "compassione", gioia e equanimità (sono i Quattro stati mentali incommensurabili, Quattro ingredienti del vero amore) e quando la nostra vera mente di Buddha si confonde davanti alla realtà e ci attacchiamo a noi stessi o a qualcosa o a una donna (Io-mio) e l' afferriamo per strozzarla, lasciamo andare l'attaccamento. Ho lavorato in carcere e so quello che vuol dire. La nostra mente è prigioniera come la mente di un detenuto, di una detenuta; la mente del detenuto/a è anche libera come la vera mente del buddha.
Questo è l'addestramento mentale, l' addestramento del corpo-mente del buddhismo.


Con grande affetto e gratitudine per la vostra partecipazione e pazienza nel leggere le mie email,

Matteo

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