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03.03.2009
esperienze nella comunità terapeutica
attraverso il racconto dei segni o tattoo le persone in cura esprimono le proprie emozioni
Persone in comunità che si raccontano i propri segni o tatoo sulla pelle, ed il rappresentarsi diventa utile per esprimere emozioni.
Conoscere le persone per ciò che sono è sempre più difficile in quanto prima della persona c’è il suo status sociale, siamo abituati ad identificare la gente intorno a noi per quel che rappresentano. Sempre più ci basta avere rapporti con rappresentazioni sociali a scapito dell’umanità in ognuno di noi.
Nei luoghi ristretti dell’emarginazione le persone gridano il loro dissenso e la loro incapacità a stare al passo del sistema, i mezzi per rappresentarsi sono molteplici ed i più bizzarri, questo per sottolineare il bisogno dell’uomo di comunicare con sé e gli altri.
Il tatuaggio è una arte antichissima usata da vari popoli per comunicare la loro essenza e diversità implicita in ogni essere umano. Nell’occidente da vezzo per abbellire il corpo si è passati a simboli di distinzione di classi sociali, o come nel nostro caso per rappresentarsi al mondo, per lasciare segno di un passaggio non ascoltato.
Pezzi di pelle che raccontano biografie, segni indelebili di storie che non avrebbero uditorio se non per il fatto di essere in un centro di recupero, unico posto in sospensione tra il frenetico scorrere del tempo meccanicistico ed un tempo altro in cui le persone provano ad ascoltarsi, incontrasi, scoprirsi, guarirsi.
Biografie e segni, questa è la rappresentazione dell’umanità nell’uomo, il raccontarsi diventa raccontarci di come si può aprire un pertugio tra il sé e l’altro.
Con stupore ho compreso in questo lavoro la fedeltà tra segno e biografia, le storie nel loro svolgersi imprimono nella pelle le mutilazioni congrue a quel racconto, come se per ogni istanza non ascoltata la pelle registrasse la sofferenza del non detto dell’umano nell’uomo.
Il corpo è la porta per la reciproca comprensione, nell’arco di centinaia d’anni abbiamo mutilato, umiliato, deriso l’unica rappresentazione di noi. Non c’è un corpo ed una mente che lo pensa, la persona è unica, non divisa. L’ignoranza è la fonte di separazioni dolorose.
Prendersi cura significa ricominciare dal proprio corpo, riconoscendolo, decifrare la trama tortuosa della sua specifica forma in cui sono scritte tutte le fatiche del vivere. Riscrivere un nuovo contratto con sé stessi in cui pacificando la violenza che abbiamo perpetuato nel corpo iniziamo un percorso in cui lasciamo andare i nodi intorno ai quali ristagna la nostra rabbia.
Maurizio mattioni marchetti
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