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28/07/2009
La merce e la cura.
E' difficile segnare una linea di demarcazione tra ciò è che cultura dell'abitudine sociale e malattia, quando si parla di droga.
Dal L’ultimo libro di Saviano: La magnifica merce
“Non esiste nulla al mondo che possa competere. Niente in grado di raggiungere la stessa velocità di profitto. Nulla che possa garantire la stessa distribuzione immediata, lo stesso approvvigionamento continuo. Nessun prodotto, nessuna idea, nessuna merce che possa avere un mercato in crescita esponenziale da oltre vent’anni, talmente vasto da permettere di accogliere senza limite nuovi investitori e agenti del commercio e della distribuzione. Niente di così desiderato e desiderabile. Nulla sulla crosta terrestre ha permesso un tale equilibrio tra domanda e offerta. La prima è in crescita perenne, la seconda in costante lievitazione: trasversale a generazioni, classi sociali, culture. Con multiformi richieste e sempre diverse e sempre diverse esigenze qualità e di gusto. E’ la COCAINA il vero miracolo del capitalismo contemporaneo, …”.
Questo descritto da Savino è il vero nocciolo della questione, quale cura possibile all’interno di un sistema sociale impostato in questi termini? E’ come se i sanitari cercano di curare un obeso con una coazione al cibo all’interno di una pasticceria dove tutti si mangiano dolci. Citando un lavoro di Rossana Suglia:
” Accanirsi verso la “La Persona”, affinchè esprima il suo mondo interno senza tenere conto di quello esterno, chiedergli di adattarsi a tali scelte terapeutiche non è più possibile, all’operatore tocca ripensare al proprio intervento in termini diversi, produrre un approccio nuovo teso a riattivare esperienze di piacere interne senza ricorrere all’uso di sostanze esterne, avvalendosi della funzione del gruppo come contenitore e della comunità come luogo fisico.”
La comunità in senso lato come risorsa di prevenzione e produttrice di modalità etiche per una coesione sociale piacevole in cui gli uomini siano eco-sostenibili per loro stessi. Non credo che ci possa essere alternativa alla cura se non si tiene conto di una spinta al cambiamento dell’assetto sociale, basta frequentare alcuni luoghi di Lecco per capire che l’utilizzo di sostanze è consuetudine e di mera accettazione da parte della gente. Citando una ricerca del National Treatment Agency (Regno Unito):
“ Le sostanze più utilizzate tra i giovani e giovanissimi sono alcol e canabis nel 2007/2008, circa 12 mila giovani sono stati curati per la dipendenza da canabis e circa 8600 per alcol. I minori che hanno fatto ricorso ai servizi specialistici per le dipendenze è pari a 24 mila giovani”.
Se questi numeri sono i giovani che hanno fatto ricorso ai servizi è preoccupante pensare quali dimensioni può avere il sommerso, cioè quello che viene per osmosi accettato nei comportamenti definiti normali. Fino a che punto si può conciliare la legalità dei comportamenti d’abuso di sostanze con il principio di cura socio-sanitaria delle persone? Io credo che non si possa accettare che solo i servizi socio sanitari risolvano il problema, perché quando in gioco non c’è solo una malattia ma bensì lo stile di vita a quel punto ognuno di noi si deve caricare sulle spalle la sua parte se vogliamo una società più sicura ed è l’ esempio delle vecchie generazioni ad avviare il volano per le giovani generazioni.
Maurizio mattioni marchetti
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