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21.05.2009
Alla ricerca del perché ci si droga.
Io credo che il miglior interlocutore che possa aprire piste interpretative ad un fenomeno così complesso il quale tocca tutti i settori della società civile siano le persone stesse che abusano di sostanze,

nell’ultimo periodo i servizi preposti alla cura hanno subito un avvitamento su se stessi cercando le risposte dei fallimenti all’interno delle teorie scientifiche di riferimento perdendo la bussola sul sentire genuino della gente (la pancia della gente)rispetto a cosa le persone e le famiglie vogliono veramente per se stessi come sostegno alla cura del problema.
Ascoltando uno dei tanti ci dice:”Io ho capito che usare la droga non era più un piacere ma un bisogno, una dipendenza, quando mi sono reso conto che mi serviva non per sballare ma per stare normale…per fare le cose della vita quotidiana: andare al lavoro, stare con la gente, con i figli. Cioè, affrontare le cose che chiunque fa, ma che per me sono diventate pesanti, faticose da fare. Ecco… dopo la prima comunità, ho smesso l’eroina e ho cominciato a bere e non ne potevo fare a meno. Bevevo la mattina per poter uscire e andare al lavoro e così tutto il giorno per tirare fino a sera. Non riuscivo a fare senza.”
Il male della normalità che conduce ad alterala per poi ritrovarla con il sostegno farmacologica in un girone in cui la libertà dell’individuo è legata a qualche molecola che sostituisce un qualcosa altro a cui nessuno riesce a dare un nome, o meglio nessuno immagina che ormai nelle consuetudini dei consumi è prassi che i prodotti illegali sono equiparati ai consumi legali.
Ascoltiamo un’altra storia: “Mah, io ho cominciato ad usare sostanze per divertimento. Lavoravo, andava tutto bene, e usavo la cocaina il venerdì, per andare a ballare. Poi, il sabato facevo il bravo…si bevevo qual cosina ma niente di che. E ci stavo dentro, mi piaceva e al lavoro andava tutto bene. Poi però ho cominciato a spacciare grosse quantità di cocaina, da un Paese all’altro, e alla fine ho perso tre anni e sono stato in carcere…Poi è successa la disgrazia di mio fratello e mi sono buttato nel bere. Bevevo tanto mi alzavo la mattina e bevevo grappa, la portavo con me al lavoro e tutto il giorno dovevo bere. Se non ricordavo dove avevo nascosto la bottiglia, non ci stavo dentro…panico. Finché dopo avere bevuto due terzi di una bottiglia di grappa sono finito a San Pancrazio e mi hanno ripulito tutto. Poi però i medici mi hanno consigliato un po’ di comunità.”
Cosa dire?... Ciò che si evidenzia è la fatalità in cui i fatti accadono come se il mondo non fosse più governato dalla visione strategica personale. L’individuo diventa un insieme di etero attribuzioni in cui la volontà personale è spenta ed incapace di darsi una sua fisionomia, utilizzare qualsiasi tipo di sostanza non è più una eccezionalità ma una fatalità a cui si è costretti. Si vestono i panni del malato e si rimanda la questione della propria guarigione a un estraneo, “ potere magico fuori da noi.”

Continuando nell’ascolto: “Ho cominciato ad usare le sostanze da piccolissimo. A sette anni fumavo già le sigarette e sentivo attrazione verso le persone più grandi di me, infatti a quattordici anni avevo già provato di tutto: trip, acidi,alcol ecc…poi con la cocaina sono entrato in un circolo vizioso perché avevo una compulsione ad usare la coca. Mi veniva automatico non potevo farne a meno, mi servivano i soldi e quindi spacciavo andando nei casini. Usavo psicofarmaci ma ne abusavo e li usavo in combinazione con altre sostanze. Finché un giorno per una stronzata ho fatto quattro reati : al sert ho minacciato con una siringa gli infermieri poi sono fuggito rubando una macchina tutto perché volevo il metadone.”
Nell’ascoltare sembra che il concetto di trasgressione o di peccato non appartenga più a questa cultura, non si intravede un timore ad andare oltre anzi la frontiera non è più stimolo di scoperta umana ma solo orizzonte di annullamento. Senza abbracciare cause catastrofiste o nichiliste di fatto un moto di deresponsabilizzazione nella cultura odierna evidenzia e legittima comportamenti lesivi tra gli essere umani. La sensazione è che ritornare alla lentezza ed alla riflessione su di sé ci può ri-orientare su valori insiti nell’essere umano i quali non appartengono al mondo del nostro clone digitale.

A cura di: Maurizio mattioni marchetti

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