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24.04.2009
Contro la droga non “normalizziamo”il consumo tra i giovani.
è sempre più presente nelle cronache l'evidenza di comportamenti riconducibili all'abuso di sostanze e le agenzie educative non sembrano in grado di dare risposte convincenti al fenomeno.
Non passa giorno che nelle cronache dei giornali non avvengano fatti riconducibili all’abuso di sostanze e per le strade e nei luoghi di ritrovo la vicinanza con la droga è evidente per chi vuole vedere. Il fenomeno di normalizzazione dagli anni 80 in poi rispetto al consumo di droghe sta raggiungendo un apice di visibilità sociale, per cui tutte le prassi comuni di socializzazione degli eventi ha in qualche modo inglobato culturalmente la percezione dell’abuso nella “normalità” (cioè ciò che è conforme ad una regola). Nei giovani la trasgressione è come un fiume in piena oltre il limite del bene e il male nel suo flusso verso nuovi confini. Il permesso e il proibito, il bianco e il nero, regole cambiate per rimutarsi in altre regole. È una danza sulla linea del confine in una sorta di carnevale in cui il giorno dopo si rimettono le cose a posto. La trasgressione ribadisce i margini per ridefinire ciò che siamo nel nostro limite di essere umano. La nostra biografia intima è un continuo camminare intorno al limite perché attraverso la trasgressione ci riconosciamo e possiamo tornare nel flusso della norma. Ci è consentito provare il brivido dell’oltre per ritornare come un pendolo che fa i conti con la luce e l’oscurità, il crescere è l’equilibrio perché il rischio è che il pendolo non oscilli più e l’umano si spezza o si perde nel buio del non senso. Dal racconto di un giovane consumatore: “Mi ricordo che la primissima volta che ho voluto provare qualcosa di diverso, è stato con le sigarette. Quindi si può dire che la prima forma di sballo è stata quella. Poi, ho continuato con il "fumo".E quello era proprio la novità. Mi sentivo bene, era piacevole, e ci stavo dentro anche con la compagnia. Avevo la ragazza e gli amici. Fumavo tanto, ma ci stavo dentro. Poi ho voluto provare qualcosa di nuovo e cambiare aria. Io vivo in un paesino e mi sembrava che non ci fosse niente. E, in quel frangente, ho provato la cocaina. Mi faceva stare bene e non mi facevo nessuna menata. Avevo la compagnia, il lavoro, non mi sembrava di avere problemi.”
Il motivo conduttore è la sostanza come panacea di tutti i mali, che fa stare bene ed in effetti è innegabile che le sostanze psicoattive agiscono nel nostro cervello in modo da produrre effetti sedativi. Il problema è vivere in funzione dell'effetto della sostanza esterna e perdere il contatto con la realtà e le emozioni che la realtà ci dona nel vivere pienamente la vita. Consumatori socializzati e non più schematizzati nelle categorizzazioni della devianza, il senso comune ha trasformato comportamenti pericolosi per le singole persone e per chi vive intorno a loro accettati e sottovalutati nei loro effetti devastanti nel tempo. Nella pratica clinica una delle frasi più ascoltate come scusante degli agiti tossico manici è:”tanto lo fanno tutti”, questo atto di spalmare sul tutti rende nullo ogni limite etico e tutto può essere giusto o sbagliato nello stesso tempo. Fenomeni sociali di questa portata non trovano risposte in soluzioni solo mediche sanitarie ma trovano risposte tra un patto di responsabilizzazione tra i cittadini. Una azione congiunta rispetto a comportamenti etici corretti favoriscono il ridimensionamento di fenomeni che non possono essere sottovalutati, secondo studi scientifici i comportamenti possono essere resi virtuosi attraverso l’esempio, per cui ogni agenzia educativa gioca la sua parte all’interno del processo di normalizzazione dei comportamenti di abuso da sostanze. Il servizio multidisciplinare integrato BROLETTO cerca di fare la sua parte sostenendo una delle più importanti agenzie educative: la famiglia infatti tutti i martedì dalle ore 20.00 alle 22.30 con metodologia “Reflecting” per lo sviluppo del sé si tengono incontri di gruppo ed aperti a tutti i componenti della famiglia . La conduzione della relazione con il metodo reflecting favorisce lo sviluppo della consapevolezza di sé, partendo dal presupposto che la persona possa attingere alle proprie risorse personali per attuare dei cambiamenti significativi nel proprio rapporto con la realtà. La riflessione su di sé è la chiave per acquisire maggiore consapevolezza, per questo il Reflettor mette in pratica un sistema comunicativo globale per mantenere le persone in riflessione sul sé. Questa metodologia è accolta in modo positivo dalle famiglie in quanto non applica sistemi invasivi di persuasione, ma al contrario è rispettosa della persona ed agisce in modo che l’individuo raggiunga da sé le proprie risposte.
Maurizio mattioni marchetti
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