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07.04.2009
la storia dalla parte degli educatori
interviste sul campo ad educatori impegnati nella quotidianità del servizio alla persona adulta.

La storia dalla parte degli educatori.

D: Come mai proprio quest’idea? Come mai hai deciso di diventare educatore?
R: Mah, l’idea era quella di fare un servizio nel sociale. Già subito all’inizio era nella mia mentalità, l’idea di lavorare in quest’ambito c’è sempre stata, sin da principio. Ho provato anche a lavorare in situazioni con ragazzi disabili, piuttosto che lavorare in questi ambiti.

D: Quindi questa strada ti è venuta un po’ da una tua ricerca personale?
R: Sì, se vogliamo sì, non c’è stato un qualcosa che mi ha spinto a fare questa scelta in particolare. Diciamo che era l’interesse a questo tipo di dinamiche sociali e da lì è scaturita poi la voglia di cer-care di capire qualcosa di me, cercando anche di avere a che fare con queste cose, di lavorarci.

D: E come mai proprio nel socio-sanitario, proprio con i tossicodipendenti e non altre…
R: Ma perché l’idea di lavorare in questo ambiente di marginalità anche grave, soprattutto in cui si ha a che fare comunque con un problema reale che riguarda persone che possono avere la mia età, rispetto a questo tipo di realtà che comunque è forte e è un problema che c’è, mi è venuta la curiosi-tà, poi mi sono un po’ informato e ho sviluppato un po’ l’interesse e da lì è partita la ricerca di que-sto tipo di lavoro. Già subito dall’inizio, quando ho scelto di fare scienze dell’educazione,già que-st’idea c’era, poi lì un po’ mi sono informato, un po’ho studiato, ho cercato di capire, ho costruito questa convinzione, l’ho fortificata un pochino e sono riuscito ad arrivare poi a questo centro.

D: Quindi comunque è una risposta a qualcosa di personale, cioè, hai avuto esperienze prima o no?
R: Solo un interesse personale, anche a livello professionale, ma c’è sotto un interesse personale di cercare di fare questo lavoro. Non c’è stato nessun elemento scatenante come magari una dipenden-za, piuttosto che la conoscenza di qualcuno che… perché capita anche questo. Non è dovuto a nes-suno.

D: Per cui neanche, per dire, cercavi lavoro come educatore e hai trovato questo…
R: No, no…
D: Cioè, hai proprio cercato questo?
R: Cioè, io ho fatto il tirocinio in questa comunità, e ci sono rimasto, semplicemente.

D: Come educatore, relativamente a questo ambito operativo, quali sono i ruoli, le funzioni dell’educatore, le azioni che deve compiere?
R: In un ambiente come questo qui, penso che sia più importante per l’educatore che sia una perso-na che abbia la capacità di ascoltare, di esserci in questo contesto. Sono atteggiamenti anche rispetto all’interessarsi alla persona, al prendersi cura o anche semplicemente di essere lì, magari c’è una persona a cui non frega assolutamente niente di fare la comunità, però anche soltanto una figura presente, che possa anche intervenire, che possa anche mantenere, per carità, c’è anche la questione dell’ordine del posto, del controllo, eccetera, che è una delle parti fondamentali. E poi c’è anche quella un pochino più legata al rapporto con le persone, che è quella del saper ascoltare ed esserci, e già questa è una cosa importante, cioè non è tanto importante in se: è chiaro che nessuno delle per-sone che escono di qua, o pochissime poi riusciranno a smettere di fare uso, però è anche importan-te che in questo periodo a qualcosa gli sia servito, o che comunque in qualche modo siano state be-ne, semplicemente.

D: Quindi il ruolo dell’educatore è un po’ quello di ascoltare, essere presente, accompagnare il percorso?
R: Esatto, è proprio un ruolo, diciamo, anche accuditivo, per certi aspetti, quindi di presenza, che poi certo, è chiaro che la funzione principale in un ambiente come questo a volte diventa quella di controllare, cioè nell’ambito del controllo, quello del contenimento, perché no, non ci si può limita-re soltanto ad essere qui, ci sono anche altre cose da svolgere, da contenere magari anche certi com-portamenti o cambiare certe abitudini…

D: E quindi, più praticamente, che azioni è chiamato a svolgere l’educatore?
R: Principalmente quella di esserci sulla quotidianità. Essendo una residenziale, la presenza sulle 24 ore, sul quotidiano, è fondamentale, lo svolgere attività con gli utenti, lo stare con gli utenti, il capi-re certe dinamiche che si sviluppano, l’ascoltare è fondamentale per riuscire anche un po’ a capire certe cose, comunque anche soltanto avere qualcuno con cui parlare tante volte è importante. Oltre allo svolgere la funzione di contenimento e di controllo, o anche comunque cambiare il modo di vi-vere della persona fuori, cioè il non aver regole, il non aver nessuno che prende il controllo… que-sto ruolo va svolto dall’educatore…

D: Quindi in che modo deve operare l’educatore? Cioè, deve essere una persona rigida, una persona… come deve porsi?
R: Deve cogliere un po’ la situazione e la persona che ha davanti: non è un comportamento standard per cui ti comporti in modo rigido e quello va bene per tutti. Non è così, nel senso che devi anche capire i bisogni e le difficoltà di chi si ha di fronte, cercare di esser severo, essere rigido, o cercare anche magari di confortare la persona che è in difficoltà. Devi valutare la persona con cui si ha a che fare, con cui si sta parlando e la situazione che si viene a creare.

D: Quindi l’educatore è chiamato appunto a seguire il percorso degli utenti con fermezza co-munque e comprensione?
R: C’è anche un ruolo autoritario chiaramente che deve sempre rimanere, cioè, se viene meno quel-lo, chiaramente, si generano anche delle difficoltà. Non deve essere un rapporto amicale con l’altra persona, bensì un rapporto un po’ di autorità rispetto a determinate cose, cioè l’esserci, ma solo su un piano di pari o amicale, rischia di non avere poi alcun approccio di tipo educativo.

D: Più sul personale, rispetto alla tua formazione e al tuo sapere, come lo utilizzi, se ti è utile per lo svolgimento di questo lavoro, se è legato, se hai dovuto rivedere qualcosa.
R: Rispetto al lavoro, noi qui utilizziamo quello che abbiamo studiato, i progetti educativi che se-guono gli educatori, mettendo in pratica il ruolo progettuale sul piano educativo. Utilizziamo questo sapere allo stesso tempo sul piano relazionale, sicuramente, dei mezzi educativi che devono essere applicati anche nel quotidiano.

D: Quindi, comunque il tuo sapere, quello che hai studiato è legato a quello che fate qua, non è qualcosa di campato in aria.
R: No, assolutamente, quello che ho studiato all’università, ho fatto anche la tesi su questo argo-mento, per cui tutto quello che viene utilizzato, sia i sistemi di approcci educativi secolari (?), sia il seguire un progetto, ideare un progetto, verificare il funzionamento e il proseguimento di questi pro-getti, chiaramente sono legati al fatto, tant’è vero che anche il rapporto con tutto il resto, cioè quello che riguarda delle vere e proprie pratiche, hanno un fine educativo e sono legate con quello che si è imparato in università. È chiaro, scienze dell’educazione è un’università, diciamo, un po’ di secon-do livello, nel senso che ci sono tante lacune rispetto ad alcuni argomenti, che uno poi si deve anche arrangiare a recuperare. Ma questo anche perché questo contesto lavorativo tante volte nell’univer-sità viene affrontato, ma non come meriterebbe di essere affrontato, cioè io ho fatto la tesi e da lì mi sono un po’ creato delle nozioni in più, volte ad applicare certe cose, determinati mezzi educativi anche su contesti di questo tipo, contestualizzati un po’ di più.

D: Quindi, se non ho capito male, comunque qualcosa ti sei dovuto costruire da solo?
R: Sicuramente sì, perché il contesto che ti insegnano è quello del lavoro con i disabili, del lavoro nelle scuole eccetera, poi la realtà di questi contesti viene un po’ affrontata, ma marginalmente.

D: Tu come ti poni rispetto alle esigenze di questo lavoro, rispetto all’utenza? Quindi come vi-vi la professione dell’educatore?
R: Un lavoro che nonostante occupi gran parte del proprio tempo dà delle soddisfazioni, delle possi-bilità: si lavora con le persone, che è molto importante. Lavorando con le persone comunque si ha anche un buon riscontro su di sé perché alla fine stare in una comunità residenziale non è semplice-mente un lavoro che non lascia niente, ma qualcosa lascia sulla persona e inevitabilmente un po’ si cambia, in meglio, si hanno esperienze diverse, esperienze che comunque sono abbastanza forti e si sentono sulla propria vita. Questa è la cosa che conta di più, perché per quanto riguarda la paga…

D: E quindi rispetto ai pazienti come ti poni?
R: Rispetto ai pazienti cerco di far valere, come dicevo prima, una certa divisione, rispetto comun-que anche al ruolo che ho in comunità, cioè, ricopro un ruolo e questo ruolo dev’essere mantenuto. Cerco comunque anche di essere abbastanza alla mano, cioè di riuscire ad avere contatti con le per-sone senza essere eccessivamente autoritario, cerco di essere empatico con le persone, perché allon-tanandosi troppo non si riesce a cogliere certe sfumature e certe cose importanti. Cerco però di non avere mai quel ruolo amicale che va a portare inevitabilmente magari a una perdita di autorità, an-che perché non avrei più la possibilità di dire certe cose, farei fatica ad impormi su certe cose, farei fatica anche ad agire il mio ruolo sull’organizzazione del quotidiano oppure sui rapporti con le per-sone, cioè perderei un po’ di autorità, creerei difficoltà sia mia nel gestire gli utenti per esempio, sia da parte degli utenti nel riuscire a proseguire nel loro programma.

D: Quindi tu sei soddisfatto, deluso, appagato?
R: Di questo lavoro sicuramente sì, sono soddisfatto. Magari pagassero un po’ di più, e sottolineo la cosa… che è l’unico aspetto negativo, perché magari anche questo però è importante da considera-re. Cioè da una parte ci sono soddisfazioni sul piano personale, sul ruolo professionale rispetto al la-voro, dall’altra parte c’è il riscontro che gioco forza gli educatori diciamo che non sono equiparati a quello che si fa, non sullo stesso piano.
D: Non è il motivo per cui uno sceglie di fare questo lavoro?
R: Esatto, sicuramente uno non fa questo lavoro per necessità.
D: Chiaro, lo fa per arricchimento spirituale… (scherzosamente)
R: Sì, però lo spirito non dà il pane, che è un discorso che non capisco molto.

D: E quindi tu comunque ti vedi bene in questo ruolo, ti vedi capace piuttosto che… hai dei timori?
R: Credo che timori sia giusto averli, nel senso che se faccio automaticamente faccio fatica a cono-scere, quindi è importante anche magari avere delle paure, dei timori, dei dubbi, ma comunque è importante riuscire a crescere. Crearsi una competenza parte dal continuo anche studio, se si vuole, continuare a formarsi, continuare a provare, anche in maniera più attiva, meglio ancora.
D: Quindi tu non ti vedi, e speri di non vederti, già “arrivato”?
R: No, non voglio vedermi arrivato.

D: Finiamo, e arriviamo agli aspetti negativi, positivi e un po’ problematici. Beh, la risposta me la do già da sola: aspetto negativo è lo stipendio…
R: Stipendio…
D: Altro?
R: Beh, non vedo altri aspetti negativi, comunque in una cosa che ti piace è difficile vedere qualco-sa che sia negativo in questi termini. Puoi magari non essere giustamente riconosciuto, non soltanto in termini di stipendio, ma anche magari per quel che riguarda la sfera personale. Sicuramente da parte delle istituzioni, da parte comunque anche del più delle persone che ci sono in giro, della gen-te in generale, dell’opinione pubblica quel lavoro qua è visto come un “non-lavoro” o anche, per certi aspetti, non si conosce, come tipo di ambiente, non si conosce questo tipo di lavoro, e questo magari lascia… non riesci a parlare con una persona che non è di questo campo, non riesce a coglie-re quello che veramente si fa, che non è che sia una cosa fondamentale, però il sentirsi anche rico-nosciuti rispetto a quello che si sta facendo, il sentirsi, perché no, anche importanti da un contesto esterno, fa piacere. E tante volte la disinformazione e tutto il resto portano a vedere questi posti co-me dei luoghi quasi infantili, quando poi si fa tutt’altro e l’obiettivo è completamente opposto.

D: Gli aspetti positivi?
R: Gli aspetti positivi sono sicuramente il riscontro sul piano personale, in primo luogo, visto che lo stipendio è ridicolo, e comunque anche il riscontro che si ha sulle altre persone, come in tutte le si-tuazioni di questi contesti.

D: Aspetti invece problematici, da valorizzare?
R: (Ridendo) La legge Maurizio questa cosa? La deve sapere…: il problema è quello perché alla fi-ne per quel che riguarda anche solo il fatto che si fanno tante ore di lavoro, anche se le regole… e comunque si ha un po’ di tempo, e fa anche piacere farlo, è chiaro che quando lo stipendio inizia a diventare irrisorio a quel punto lì comincia anche a pesare. Non sono uno che dà tanto peso a questo tipo di cose, è solo che non valorizza tanto quello che si fa. Perde magari anche, come dicevo prima, la misura del tempo.

D: Però a parte questo, tutto sommato tu sei contento?
R: Ah, io sono contento, a me piace questo lavoro, proprio molto.

A cura di maurizio mattioni marchetti

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