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05/01/2021
Le tentazioni delle comunità
Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 36, novembre – dicembre 1994, p. 5 – 6.
articolo del 1994 di Don Leandro Rossi fondatore delle comunità di Famiglia Nuova sulle vicende di San Patrignano.
Ho aperto la prima Comunità l’anno in cui nacque S. Patrignano e ho sempre avuto un impianto diametralmente opposto a Muccioli. Ma mi è capitato di domandarmi chi aveva ragione e di invidiarlo persino quando, con un po’ di pressione, riusciva a far superare la crisi al giovane, mentre io dovevo accontentarmi di dirgli (il più delle volte inutilmente): “guarda che, se scappi a “farti”, poi non ti posso più riprendere!”. Quando in questi dieci anni veniva aggredito in modo inclemente, anche dai colleghi, ho cercato di non infierire su di un uomo morto ma semmai di capire, visto che non potevo approvare. Ora ritengo che sia venuto il momento di dichiarare pubblicamente le nostre tentazioni, sia per chiarirle pure a noi stessi, sia per poterle più facilmente superare.
Il fine
La prima riguarda il FINE: la maturazione e socializzazione del giovane e non invece la difesa della comunità, magari la nostra. Non c’è da meravigliarsi, persino la chiesa è tentata di difendere se stessa, prima del bene delle anime. La Comunità non va mitizzata come unica arca di salvezza.
Sia perché non è l’unica: sia perché non siamo salvatori; sia, infine, perché la sua utilità è sotto gli occhi di chiunque vuol vedere.
Il numero
C’è poi il NUMERO. S. Patrignano è la prima in Europa e, forse, nel mondo. Quando io avevo 10 ragazzi, Muccioli ne aveva già 100. Quando sono arrivato a 100 (dislocati in 10 Comunità), lui ne aveva oltre 1000, riuniti in una sola Comunità. E io nella mia ignoranza, un po’ lo invidiavo, anche perché la concentrazione era risparmio economico, di personale, unità direzionale…
Ma era anche fatalmente fiducia nella disciplina, nelle regole ferree e nella repressione!
L’autorità
In terzo luogo viene il concetto di AUTORITÀ. È certo che siamo “padri”. Ma siamo anche tentati di agire con paternalismo (a fin di bene), e rischiamo di diventare dei Padri-Padroni. Ce ne sono tanti anche tra i preti fondatori di Comunità, forse anche io, se non sto attento! L’autorità cerchiamo di concepirla esattamente, come servizio; ma non dobbiamo attuarla da giudici unici, bensì esercitarla con collegialità, contenti che i nostri collaboratori ci contraddicano talora e ci integrino sempre. Contenti che gli ospiti non siano alla nostra mercè, ma sappiano di essere valutati da persone numerose e sagge.
La pedagogia
C’è inoltre la PEDAGOGIA, cioè il metodo che applichiamo. Sono tante purtroppo le Comunità alla Muccioli, che io definisco “di destra”, poggianti sull’ordine e sul continuo controllo fiscale del giovane, sia nel tempo di lavoro che nel tempo libero. Se nulla deve sfuggire, ben vengano anche i sistemi polizieschi! L’eccezione alla regola non esiste: la possibilità di perdonare neppure le punizioni per gli sbagli, invece, ad ogni piè sospinto!
Bisognerebbe richiamarci a S. Tommaso per cui la tolleranza è la prima virtù dell’educatore: o a Don Bosco, per il quale ci vogliono tre cose.
L’amore. (nostro verso di loro).
La Ragione, cioè la convinzione che abbiamo un alleato nella loro intelligenza.
L’ideale, che non è oggi necessariamente (anzi questo lo sentono spesso come equivoco), ma secolare e umano: si sta creando “la società del gratuito” e costruendo un mondo d’amore (non si sta combattendo solo la droga).
L’economia
C’è poi un altro tema delicato: quello dell’ECONOMIA. Nati nel lontano 1977 abbiamo fatto sacrifici enormi nei primi anni, quando lo stato non ci aiutava e avevamo solo volontari e strutture minimali.
Poi abbiamo pagato gli operatori costruito un po’ alla volta strutture adeguate. Oggi le preoccupazioni iniziali sembrano ritornare. Le rette sono alla mercé dell’ultimo funzionario regionale o della Ussl (che possono essere contrari pregiudizialmente anche in buona fede), mentre si esige sempre di più sia per il personale che per le strutture. La tentazione di fare la formica che accumula per l’inverno o il Viceré d’Egitto che riempie i granai per il tempo delle vacche magre può venire; e può darsi che sia venuta anche a Muccioli o ad altri la voglia di portare capitali all’estero; o di pagare tangenti perché i politici si ricordino delle Comunità. È insomma perdere di vista il bello della società Utopica del Gratuito, che stiamo costruendo, in cambio della società del profitto, del benessere, del “do ut des” che dovremmo davvero combattere. Una volta un alto funzionario, cui spettava erogarmi un contributo assegnato alla Comunità, mi ha fatto sospirare tre mesi, con pignolerie vessatorie, al fine trasparente di ricevere qualcosa per sé. Ho usato la tattica nonviolenta di resistenza e di difesa attiva e l’ho vinta; ma ero disposto anche a perdere, pur di non cedere alla concussione. Non c’è da scandalizzarsi, perché la tentazione è umana, in tutti gli ambienti e a tutti i livelli. Ho persino sentito la tentazione del collaboratore “buttafuori”, perché in qualche caso poteva servire (oggi si direbbe dell’aiuto “macellaio”). La vera risposta è solo in una amministrazione trasparente, collegiale.
Dovremmo, come gli ebrei nel deserto, accontentarci della manna giornaliera, senza prendere quella del giorno dopo, ma confidare quotidianamente nella Provvidenza.
Insomma la “società del mercato”, oggi tanto di moda, è la fabbrica degli emarginati: non ne può diventare la salvezza. Così pure i suoi metodi basati sul consenso forzato, sui soldi e sulla repressione sono inaccettabili. Le Comunità siano il luogo del gratuito, dell’amore, della convinzione e della viva partecipazione. Il rischio è qui: che consideriamo i ragazzi recuperati quando li abbiamo addestrati a vivere in un mondo capitalistico e non invece in un mondo dove si deve costruire la Civiltà dell’Amore.
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