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02.09.2015
La pedagogia degli oppressi
Maurizio

Don Milani raccoglieva intorno a sé nella propria comunità di vita, giovani affamati di conoscenza, perché allora la piaga sociale era l’ignoranza

Uno dei nodi critici fondamentali sulla cura delle dipendenze è l’afferire al settore sanitario. Un settore che richiama un intervento di natura specialistica, infatti l’efficacia è misurata sulla adeguatezza dello specialismo nell’intervento sulla parte interessata. Di fatto nei casi non cronicizzati o con patologie correlate gravi un approccio educativo può essere la soluzione migliore, e la visione utopistica della comunità (non terapeutica) come stile di vita è lo strumento per eccellenza.
Don Milani raccoglieva intorno a sé nella propria comunità di vita, giovani affamati di conoscenza, perché allora la piaga sociale era l’ignoranza, l’ignoranza con cui un popolo veniva reso schiavo. La conoscenza era la via d’uscita verso la possibilità della libertà di scelta sul cosa farne della propria vita.
Oggi i giovani; navigatori del web, sono abili surfisti di un mondo già dato, confezionato ad arte per accedere nel nichilismo del nulla. Come palle da flipper si salta da luogo comune ad un altro senza mai toccare terra, agganciati al graving della rinnovata continua novità.
Oggi come allora l’ignoranza e la consapevolezza sono il male comune che impedisce la libera scelta, ed oggi come allora la risposta adeguata è nella forma indicata da un Don Milani del secondo millennio.
Dare il buono esempio è il principale gesto educativo. Non c’è pragmatica pedagogica senza atto coerente con essa. La disfunzionalità del nostro assetto sociale sta’ nella schizofrenia comunicativa. In cui gli atti non sono conseguenti ad i valori che la nostra società dichiara di ispirarsi. In particolare nella società Italiana c’è il primato della salute intesa come guarigione dalla malattia. Per cui noi mettiamo in atto la pedagogia per educare il cittadino ad essere un buon malato; e non la pedagogia intesa come educazione umana al maggior benessere possibile anche in presenza di una malattia.
La comunità residenziale deve diventare strumento di prevenzione all’abuso di sostanze, rivolta ad i giovani nella fase di esordio dei comportamenti tossicomanici.

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