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26.02.2014
A chi giova l'ignoranza?
maurizio mattioni marchetti
I nostri mondi sono imperi di agglomerati di parole che si strutturano in giudizi, la libertà è un attimo di silenzio a cui sfuggiamo a noi stessi.
Nella quotidianità si è bombardati da parole, agglomerati di discorsi di senso comune. I quali per efficienza ed efficacia di portata diventano il nostro costrutto di senso nella azioni. Ciò vuol dire che i margini di libertà sono limitati da noi medesimi. Il silenzio ci rende liberi, lasciare parlare i corpi ci rende compassionevoli. È difficile per chi lavora con le parole, rendersi conto che sono le parole articolate nei vari mondi: da bar, da macchinette del caffè sul lavoro, da sale d’attesa, da programmi TV, da palestre e via così; a costruire il nostro senso del giudizio che a volte, spesso, chiamiamo professionalità.
Piove e la giornata secondo le credenze diventa bella o brutta. Più o meno ci si sopporta, siamo tanti e tutti sembrano diretti in qualche dove, difficilmente ci si guarda in modo diretto anche se nella quantità a volte è difficile evitarlo. Ma basta un cenno in un luogo di sosta e le parole escono come sampietrini nel vento. Giudizi tautologici su dio il mondo e tutti i santi in cielo e terrestri ancora vivi.
Ascolto storie e mi perdo nelle narrazioni, nei fiumi di immagini che si condensano in stratificazioni di ingegneria plastica per poi stazionare irremovibili nel nostro dire. Prendo un caffè e delicatamente dal bordo seguo con lo sguardo l’immancabile colata color cioccolato verso il piattino, e già il giudizio maligno verso ignoti sgorga dalla mente affollata. Sì, vorrei essere compassionevole, vorrei essere nel silenzio, ma questa linea marrone tra me ed il mio palato manda a fanculo il costrutto amorevole.
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