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18.03.2009
Il primo nichilismo da sfidare nella lotta alla droga è la crisi (affettiva della famiglia)
Don Chino pone l'accento su i temi educativi ed il ruolto importante della famiglia nella società moderna

famiglia

La V° Conferenza tenutasi a Trieste sui problemi connessi alla droga si è conclusa sabato scorso. con un appello comune: ridiamo presenza e spessore alla prevenzione focalizzando i problemi educativi. Diversi interventi hanno ribadito che la condizione familiare incide più di quanto si creda nel disagio giovanile in genere e nella tossicodipendenza. Evidenziare una certa incidenza tra disagio giovanile e famiglia, non significa classificare le famiglie e favorire una valutazione positiva o negativa delle stesse. Si è voluto sostenere la tesi avvalorata dalla ricerca ed esperienza, che vede in certe situazioni familiari segnate da divisioni, incomprensioni, estraneità, superficialità, apprensione ed altro, condizioni favorevoli alla devianza. La famiglia in crisi affettiva e sprovveduta di contenuti valoriali ed educativi, può favorire nei figli stati di insicurezza, di demotivazione, di ansia che spesso sono alla base dell’uso e abuso di sostanze inebrianti e stupefacenti. Noi del Com.E (Comunità educative) siamo del resto convinti che ogni situazione involutiva personale, rimanda, in parte, all’ambiente in cui si nasce, si cresce, dove si elaborano le scelte e le sconfitte. Ci siamo chiesti quindi: quale tipo di famiglia si presenta ai nostri Centri d’Ascolto per chiedere aiuto per il figlio? Una famiglia: sopraffatta di fronte alla potenza di una società consumistica che impone i suoi “valori” e modelli di comportamento in funzione del processo produzione-consumo; scoraggiata, rassegnata e confusa che tende ad abbandonarsi ad atteggiamenti di “delega”; senza punti di riferimento e comportamenti valoriali; sommersa dal superlavoro e assente come contesto educativo, relazionale, affettivo; sostitutiva che non permette ai figli di assumersi gradualmente concrete e costruttive responsabilità; senza regole e in balia del permissivismo e superficialità. Di qui l’urgenza d’aiutare le famiglie, mentre il figlio è in Comunità: a riscoprire la necessità e l’urgenza di porre al centro del proprio interesse la persona, la sua crescita e felicità; a recuperare la consapevolezza della propria funzione, dei propri limiti e delle proprie risorse e responsabilità; a valorizzare le relazioni affettive attraverso il dialogo, il contatto umano, la presenza, lo scambio di esperienze, la condivisione della gioia e del dolore; a ritenere i problemi, le difficoltà come prove da superare e non come sconfitte da subire; a raggiungere una “struttura interiore” che sostiene i comportamenti, le scelte, l’equilibrio; ad adottare un progetto educativo per facilitare l’evoluzione dei figli e l’affermazione delle loro qualità e potenzialità.
La nostra associazione Com.E ha evidenziato pure che il risultato di una cultura materialista e nichilista che prospetta la vita senza speranza e futuro. Tutto viene affidato alla tecnica e al progresso, all’avere e agli investimenti. La vita purtroppo non cresce se imbrigliata in schematismi esatti e computerizzati. Solo se diamo spazio ad ambienti sociali umani dove si pensa, si ama, e si sogna, strappiamo dai giovani la noia, la nausea, la voglia di sballo. Qualcuno ha detto che la nostra spregiudicatezza ha prodotto il “mostro”, cioè una società che propone ai giovani discorsi e parole, iniziative provvisorie senza continuità, che tollera scuole senz’anima, spazi sociali privi di proposte educative, che si mostra come un gigante impotente di fronte alle devianze giovanili, ai problemi vitali ma è “malata” di parole e di burocrazia, confusa per il frazionamento e la sovrapposizione di messaggi contraddittori, non solo a livello di principio, ma anche di fatto; che enfatizza il tempo della giovinezza come simbolo del senso pieno della vita e non favorisce la maturazione della persona, ma abbellisce e ostenta l’immagine; che promuove una scuola “contenitore” lontana dai problemi giovanili e dalle possibili dinamiche evolutive.
.Questa analisi evidenzia quanto siano necessarie strutture comunitarie che attendono a dare risposte immediate sia al disagio giovanile che alle agenzie educative. Mai come adesso è urgente aprire Centri d’Accoglienza, Comunità educative per minori, Case famiglia. Non si pensi che queste Comunità siano il toccasana di un disagio che richiede cambiamenti radicali di mentalità, di relazione sociale, di crescita familiare. Sono e restano le Comunità necessarie per evitare il peggio, per togliere alcuni ragazzi e giovani dal rischio peggiore, quello della morte. Se non ci fossero questi ambienti di speranza, i disastri umani, familiari e sociali sarebbero maggiori. Siamo soliti dire che le Comunità non sono luoghi in cui si fanno i miracoli. Nessun miracolo, ma solo tanta disponibilità per accogliere, valorizzare, aiutare la persona sola e fragile. Il nostro desiderio è di poter andare avanti in questo servizio alla vita. Crediamo che sia anche il desiderio dell’on. Carlo Giovanardi e del dott. Giovanni Serpelloni ai quali va il nostro grazie per l’impegno e la serietà nel far capire alla società civile che la droga fa male, drogarsi non è un diritto, ogni intervento deve puntare al recupero e non alla cronicità. E’ la sfida del ventesimo secolo: mettere al centro la persona, come soggetto attivo della propria dignità e maturità.

Don Chino Pezzoli

Da “Libero” del 17/03/009

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