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14.06.2011
Il Paradiso Perduto
di Maurizio Mattioni Marchetti

il paradiso è una dimensione in noi priva di dipendenza.

Dimensione del tempo

La dimensione del tempo ha a che fare con il concetto di fretta,cioè l’accelerazione dei tempi dell’esistenza. L’umano ha un tempo biologico che sempre più non si accorda a questa epoca dei veloci. L’attimo presente ,oggi,sfugge via troppo rapidamente per essere pienamente vissuto,determinando la paralisi dell’azione,in un ritorno eterno e sempre più rapido dell’uguale. Una fretta fine a sé stessa in quanto non si sa perché ci stiamo affrettando,verso dove stiamo correndo.
Il sogno del nostro tempo è eliminare il tempo attraverso la tecnica. la comunicazione in internet ne è un esempio in cui la comunicazione è immediata in un eterno già dato o presente. Il futuro non è più sbocco naturale di progettualità ma malessere e perdita di senso per cui il rifugio sicuro è il presente ripetuto nella formula freudiana della coazione a ripetere. Nella nostra epoca l’ora o il momento presente non è seguito dalla speranza di un ora o momento futuro migliore, ma da un ora o momento qualitativamente identico inchiodato in una comunicazione orizzontale, in un desolante e frammentato susseguirsi seriale di istanti identici e intercambiabili.

“Mi accorgo che il tempo corre,se non lo sfrutto scappa via”
“che passa veloce e a volte piano da non sapere più che fare”
“il tempo è essere molto occupato”
“ora spero di sfruttarlo meglio per me e per la mia famiglia”
“ho sempre occupato il tempo con impegni di ogni tipo:famiglia,lavoro,volontariato,attività sociali,qualsiasi cosa pur di essere impegnato. Dedicando a me stesso solo il tempo in cui stavo con la sostanza”
“il tempo di farmi,bere o altro”

Dimensione del denaro:

Le società o le visioni del mondo sono organizzate in base alle priorità che esse stesse si danno. In vetta alle priorità odierne sta il denaro e il denaro può causare malattia.
Il denaro attiva legami da condizionare gravemente la vita delle persone,il denaro diventa tema dominante, una idea ossessiva.
Il denaro da strumento per il benessere si trasforma in rapporto d’amore e odio,in cui lo strumento diventa il compagno di vita, cercato nella mancanza e buttato una volta posseduto o posseduti.
Il risultato è la dipendenza patologica come nell’assunzione delle droghe,in cui il drogato sa bene gli effetti disastrosi della sua dipendenza,eppure è disposto a qualsiasi cosa per una breve sensazione di sollievo da una crisi di astinenza.
Giocare per avere più denaro,inseguendo la chimera di un sogno di vita virtuale come nel mondo digitale,in una coazione a ripetere sempre gli stessi gesti (come nelle macchinette dei bar)asserviti ad una dipendenza senza oggetto.
Se il proprio valore personale è commisurato in base al possesso dei denari,al quel punto solo delle quantità rendono apprezzabile la visione di sé stessi,le persone scompaiono in un cono d’ombra in cui la depressione è l’aspetto patologico,solo il sogno di recuperare magicamente denaro può prolungare delle vite,sospese al sogno virtuale di ciò che potrebbero essere e non saranno mai. Il meccanismo della vita si inceppa in un eterno inizio della ripetizione perpetua della giocata annullando qualsiasi progetto di vita possibile.
Da strumento utile il denaro diventa un mostro per chi ne è ossessionato, in parte è la cultura che accredita questa visione in quanto ogni cosa è monetizzata perfino le parti di un corpo umano.

“il denaro è sempre stato lo strumento della mia distruzione”

“per me il denaro è tutto avrei fatto qualsiasi cosa per averne il più possibile”

“ho sempre avuto rispetto del denaro guadagnato onestamente”

“quando lavoravo mi facevo un mazzo e appena avevo soldi li spendevo e lo buttavo al vento e mi sentivo insoddisfatto di me stesso”

“quando ho trovato il denaro mi sono sentito un dio, i soldi li ho recuperati spacciando e mi sentivo pieno di me”

“il denaro mi serve per essere superiore agli altri e per attirare l’attenzione”

“ho scippato e rubato le borse per farmi e mi sentivo felice e fiero di quello che ho fatto in quel momento,perché mi trovavo con i soldi in tasca”

Dimensione dell’esserci:
Il senso comune ha trasformato comportamenti pericolosi per le persone e per chi vive intorno a loro accettati nei loro effetti devastanti “normalizzandoli”. Nella pratica clinica una delle frasi più ascoltate, come scusante degli agiti tossico manici è:”tanto lo fanno tutti”, questo atto di spalmare sul tutti rende nullo ogni limite etico e tutto può essere giusto o sbagliato nello stesso tempo. Fenomeni sociali di questa portata non trovano risposte in soluzioni solo mediche sanitarie ma trovano risposte tra un patto di responsabilizzazione tra i cittadini. Una azione congiunta, rispetto a comportamenti etici corretti, favoriscono il ridimensionamento di fenomeni che non possono essere sottovalutati. Secondo studi scientifici, i comportamenti possono essere resi virtuosi attraverso l’esempio. Ogni agenzia educativa gioca la sua parte all’interno del processo di non normalizzazione dei comportamenti di abuso da sostanze o da cose.
La tossicomania, realizza,un modello concreto, di teoria del desiderio, facendo della mancanza "un buco nero in cui il godimento diviene inseparabile dalla pena più acuta". Una teoria la cui origine è rintracciabile agli albori del pensiero filosofico occidentale e precisamente in Platone, che fu il primo a collegare piacere negativo e desiderio insaziabile.
Significative al riguardo le analogie evidenziabili al livello del linguaggio: la stessa serie di metafore ricorre nelle platoniche descrizioni dell'anima e nelle narrazioni dei junkies. L'anima è una giara sfondata, un vaso infranto che, come il corpo di un drogato, si svuota mentre si versa il liquido. Il tossico è, in gergo, défoncé, sfondato, o, come diremmo in italiano, sballato.
Il desiderio di essere riempiti, colmati fino all'orlo è destinato a rimanere frustrato, inesaudito, perché il piacere è negativo (in quanto si dà come interruzione di un dolore), e negativo due volte: in quanto cessazione di una condizione fisica e contemporaneamente sedativo del "male di vivere", che così difficilmente ci abbandona. Precisamente di ciò parla il Burroughs de La scimmia: "Ho provato quella straziante privazione che è il desiderio della droga e la gioia del sollievo quando le cellule assetate di droga la bevono dall'ago. Forse ogni piacere è sollievo".
La temporalità è questione fondamentale nei raconti dei tossicomani, perché in tutta evidenza l'uso di droghe rappresenta anche un tentativo di rapportarsi al tempo (non a caso: secondo Simone Weil il tempo è addirittura la preoccupazione degli esseri umani più profonda e tragica). La droga, direbbe Burroughs, non è un'euforia, ma un modo di vivere: "L'intossicato misura il tempo con la droga". Il consumo impone i propri tempi: a una data quantità di sostanza si associa una certa quantità di tempo, a scansioni regolari anche se sempre più ravvicinate.
Fino a divenire, come si dice in Trainspotting, un full time job, un lavoro a tempo pieno. Il tentativo di dominare attraverso questa misura il tempo, dunque, è destinato a rovesciarsi nella più evidente schiavitù, fino a che "i giorni scivolano via infilati a una siringa con un lungo filo di sangue" (Burroughs).Ma nell'esperienza tossica anche un altro tentativo è votato al fallimento: la ricerca d'indipendenza dal mondo esterno - felice, al riguardo, la definizione freudiana della droga come Sorgenbrecher, scacciapensieri - naufraga contro lo scoglio dell'assuefazione che riduce la vita a un'unica estenuante preoccupazione.
Il significativo paradosso messo in luce dalle narrazioni dei tossicomani è che alla droga si arriva sempre "per caso", più guidati da un vuoto di desiderio che da un desiderio positivo (ancora Burroughs: "la droga trionfa per difetto"). Non è insomma un appetito che spinge, ma il bisogno di crearsene uno (che poi sarà insaziabile) - il che dice molto su come si tengano stretti ricerca di senso e desiderio, sempre che si sia disposti a concedere a un tale ordine di esperienze il carattere di un tentativo, per quanto disastroso, di "salvarsi la vita". Non è questa la strada dell'appettito del desiderio "normale", non nevrotico, che riesce a venire a patti col principio di realtà. La salvezza sta nella capacità di posticipare, rinviare la soddisfazione del desiderio fino a quando sarà possibile esaudirlo. E' questa la via che sembra l'unica percorribile, "il solo modo onesto di trattare con il desiderio", perché non ogni desiderio funziona come una tossicomania, ossia non è sempre insaziabile. E per condurre questa trattativa è necessario "schierarsi dalla parte delle cose", ossia confidare nella loro capacità di soddisfarci offrendoci un godimento positivo, e non semplicemente fornendoci rimedi a una mancanza.

“sono sempre stato solo come un lupo,perché mi sono sempre sentito tradito da tutti”
“quando non mi sentivo all’altezza degli altri mi ritiravo muto fino a farmene una colpa”
“non mi sentivo proprio,ora ho capito che il mio benessere lo determino esclusivamente io,tutto parte da me nel bene e nel male”
“sotto l’effetto dell’alcol ero felice e riuscivo ad aprirmi agli altri. Però dopo un po’ mi sentivo triste. Ho tentato il suicidio parecchie volte però cercavo sempre qualcuno che mi aiutasse.”

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