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19.05.2011
Le sfide che la persona lancia all’educazione contemporanea
Carla Xodo
Desiderio di essere, desiderio di qualcosa con cui colmare le nostre insufficienze, mancanze
Coltivare la dimensione del desiderio [de-sidera (mancanza di qualcosa di elevato: de: privazione, sidera: stella)].
Desiderio di essere, desiderio di qualcosa con cui colmare le nostre insufficienze, mancanze; desiderio come aspirazione al bene, a ciò che pensiamo sia bene per noi. E questo avviene anche per le conferme che il nostro personale senso del bene incontra nella corrispondenza con i valori sociali, propri dei contesti e delle persone con cui viviamo.
Ma oggi il desiderio di avere prende il sopravvento sul desiderio dell’essere: la volontà di possesso è oggi la risposta automatica alla sovrabbondanza dell’offerta dei beni che è quasi esclusivamente solo materiale. Spinti a soddisfare pretese materiali ci lasciamo immolare al dio denaro e incatenare dal demone del potere.
Il desiderio si trasforma in bisogno, si spegne la sete di infinito, l’utopia assume i contorni della quotidianità e della convenienza. Si insinua l’irrequietezza della privazione, si fa strada l’ansia per quello che può essere alla nostra portata, per cui si può ricorrere anche al calcolo spietato e alla furbizia programmata.
L’educazione si adegua alla logica dei bisogni. Ma i desideri umani, nella loro incontinenza proiettiva, hanno una potente carica distruttiva: sono caratterizzati da inesauribilità. Ma noi siamo esseri dalle aspirazioni più grandi della forza per soddisfarli: il desiderio, anche se esaurito, quando è confinato al solo soddisfacimento del bisogno, contiene un’infinita capacità di autogenerazione e per questo può snaturarsi in modo fatale.
La moltiplicazione dei bisogni trasforma il soggetto nel succube e insaziabile consumatore nel tempio mondano dove si celebra un’incessante cerimonia del superfluo, dell’eccentrico, della voluttà tentacolare .
La conversione del desiderio in bisogno è la conseguenza di un assunto pedagogico moderno. L’imperativo dell’autonomia del soggetto, perseguita con questo escamotage, è suggerito dal filosofo-pedagogista Rousseau: “se l’uomo, condizionato da qualcosa di irrealizzabile autonomamente, è infelice in quanto costretto a dipendere dagli altri, perde la propria libertà: l’educazione può porre rimedio a questo stato semplicemente ponendo degli impedimenti fin dall’inizio. L’autonomia del soggetto può infatti essere garantita con un’educazione che interviene a partire dal radicamento antropologico del bisogno. Ovvero bisogna correggere la sproporzione tra forze e bisogni, al fine di contenerla in una misura di equilibrio educativamente tangibile. In fondo si tratta di tenere a bada l’immaginazione, la più dannosa delle facoltà umane, responsabile dell’insorgenza dei bisogni e della loro proiezione nei desideri umani”.
Questa tesi pedagogica discutibile, non ha rivelato tutta la sua portata distruttiva finché si riferiva ad un mondo che ci siamo lasciati alla spalle, caratterizzato da una quantità limitata di beni, per cui l’uomo poteva spaziare al di là del materiale.
La tesi è entrata in crisi con l’avvento delle nostre macroeconomie fondate sulla produzione illimitata dei beni e loro rapido consumo. Nella rincorsa ai beni materiali l’uomo esaurisce la sua tensione teleologica (la credenza che ci sia un progetto, uno scopo, una direttiva, un principio o una finalità nelle opere e nei processi naturali, unita allo studio filosofico di tale scopo): gli scopi si sostituiscono ai fini e questi ultimi alla fine vengono misconosciuti (Maritain).
Ma non è tutto perduto, la natura umana, infatti, può essere ingannata ma non modificata; per questo ritorna a far sentire le proprie esigenze, a rivendicare sul piano dell’educazione il riconoscimento della sproporzione che le appartiene. Il malessere del mondo contemporaneo rappresenta un segnale preciso in questa direzione, un appello ai cultori dell’educazione perché si trovi un soluzione al dissenso, si riordinino le idee e si guidi in maniera virtuosa le nostre azioni educative. La sfida più rilevante, oggi, è proprio quella di coltivare la dimensione del desiderio, fornire risposte significative al bisogno di orientamento, trarre fuori dalle secche dell’accidia e rimotivare i soggetti.
Come fare? Siamo sfidati ad ampliare la gamma dell’offerta educativa, arricchire il paniere di beni spirituali da affiancare e mettere in competizione con la cornucopia di quelli materiali. Beni spirituali sono i valori etici ma anche quelli religiosi.
Questi beni sono alla nostra portata solo se si vede con l’occhio del cuore, perché i valori etici non vanno solo conosciuti ma anche sentiti: non si dà conoscenza etica senza partecipazione emotiva e adesione alla sensibilità . In breve: l’educazione etico-morale e religiosa, in quanto riferita a dimensioni della realtà metafisiche, privilegia l’intelligenza intuitiva, immediata, autonoma dalla mediazione linguistica o dall’azione, oppure ricorre alla dimensione simbolica, nella duplice intenzionalità che la contraddistingue: la competenza intuitiva oltre alla spiegazione letterale
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