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21.03.2011
ESSERE SENZA TEMPO
dal blog di Diego Fusaro
Mi affretto dunque sono. Sembra questo il nostro destino. Vi siete mai chiesti perché ogni vostra giornata è all'insegna della fretta e dell'"essere-senza-tempo"?
Mi affretto dunque sono. Sembra questo il nostro destino. Vi siete mai chiesti perché ogni vostra giornata è all'insegna della fretta e dell'"essere-senza-tempo"? Perché non abbiamo mai abbastanza tempo per fare ciò che vorremmo o dovremmo fare? Qual è il senso di questa accelerazione di ogni settore della nostra esistenza? Sorge il sospetto - già messo a fuoco da Heidegger - che questa velocizzazione elettrificante sia autoreferenziale, svuotata di ogni significato e volta a riprodurre a ritmi sempre più intensi la realtà così com'è, il "capitalismo assoluto-totalitario". Ci affrettiamo senza sosta e, al tempo stesso, non sappiamo dove stiamo andando. La dimensione del futuro si è eclissata e viviamo in un eterno presente, in cui l'orizzonte è sempre, immancabilmente, il presente stesso: l'eternizzazione del presente si accompagna alla desertificazione dell'avvenire, in un mondo disincantato che ha smesso di credere a Dio ma non al mercato. Se la modernità aveva perseguito futuri migliori, in nome dei quali accelerare la marcia, il nostro tempo vive del e nel presente, in una programmatica rinuncia all'avvenire e alle promesse inevase del moderno. E non di meno sopravvive, e si fa anzi sempre più intensa, l'accelerazione dei nostri ritmi esistenziali. Il nesso tra capitalismo e nichilismo dell'accelerazione risulta qui lampante, soprattutto se si esamina un fenomeno del paesaggio postmoderno: il cosiddetto "consumismo". L'ideologia che serpeggia tra le pieghe della società consumistica è quella dell'emergenzialità assoluta e del tempo cairologico: per poter essere sempre al passo coi tempi e con la moda, bisogna affrettarsi nell'acquistare le nuove merci (emergenzialità) e saper cogliere il momento opportuno (il tempo cairologico) per arrivare primi, bruciando sul tempo gli altri consumatori, secondo una versione postmoderna del carpe diem. Non stupisce, in quest'ottica, che le mode cambino sempre più in fretta, al punto da diventare "stagionali". Anche in questo risiede, d'altro canto, la contraddittorietà della religione consumistica, che proclama a gran voce l'imperativo della soddisfazione dei clienti e che in segreto coltiva l'obiettivo opposto, ossia la loro costante insoddisfazione, unica garanzia affinché essi non restino indifferenti alle nuove merci che ogni giorno vengono al mondo. La soddisfazione dei desideri tramite le merci è sempre parziale, lascia ogni volta molto a desiderare, è suscettibile di miglioramento e - questa la conseguenza - è sempre rinviata a un domani che, costantemente differito, non arriverà mai: l'esistenza del consumatore non risiede nel godimento delle merci possedute, ma in una perenne quanto snervante condizione di fretta e di dinamismo scaturente dal rincorrere le nuove merci che quotidianamente vedono la luce. Dopo un attimo, arriverà puntualmente un altro attimo, denso di nuove promesse di soddisfazione e, dunque, tale da indurre a una corsa forsennata da una merce che non ha soddisfatto appieno i nostri desideri a una nuova merce, non ancora collaudata ma analoga - nella sua struttura - a quella precedente; proprio come, del resto, nella società consumistica, l'attimo successivo è sempre qualitativamente analogo a quello precedente. Il futuro ha cessato di essere pensabile, secondo il pathos dell'escatologia benjaminiana, come "la piccola porta da cui poteva entrare il Messia" per trasformarsi in una porta infernale da cui sempre rientra lo stesso presente, in una "danse macabre" di istanti che muoiono per poi rinascere tali e quali.
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